Testi critici

Marisa Battaglia, un' artista al di fuori degli schemi classici

Non è semplice, contrariamente a quanto si pensi normalmente, esprimere un parere scevro da condizionamenti quando si viene invitati a considerare una pittura figurativa che definirei "al di fuori degli schemi classici"; ed ecco espressa di già una considerazione non voluta o per lo meno, non forzata.
Eppure le opere della giovane pittrice Marisa Battaglia, esprimono con evidenza l'incantamento tratto dall'evidenza di un paesaggio, poco importa se montano o marino, oppure architettonicamente semplice senza alcuna preziosità stilistica.

I dipinti di Marisa hanno del neo figurativo quell'inconfondibile desiderio di purezza posseduto da un classicismo ottocentesco, privo di fronzoli ed abbagliato dalla luce, una luminosità mediterranea che ha carafrerizzato i capolavori degli artisti siciliani, in particolar modo, nel finire dell'ottocento e nei primi anni del novecento, primo fra tutti l'inimitabile Francesco Lo Jacono.

Allora perché definire i dipinti di Marisa Battaglia figurativa, al di fuori dagli schemi classici, in essi non fa difetto il disegno, i soggetti sono tratti, come un tempo, dalla natura, i colori non scimmiottano le cromie reali, assecondano pacatamente luoghi, atmosfere ombrose, paesaggi al limitare del giorno, o all'esplodere di un nuovo mattino.

Cosa differenzia allora le realizzazioni di Marisa dai classici ai quali evidentemente si ispira senza nascondere l'attrazione per quelle forme espressive, ma mai divenendo "cloni" avvilenti ed inespressivi? A nostro, certamente sindacabile giudizio, proprio quel tanto che la allontana dai tanti neo figurativi che operano nel nostro Paese, dipingendo caramellose realtà nelle quali ogni particolare è sopra le righe. Il disegno esageratamente elaborato, le cromie squillanti che ben poco hanno da spartire con la realtà, sono, in definitiva, dipinti modesti.

Questi sono prossimi alla volgarità, ma esistono ancora degli “artigiani" della pittura in grado di riprodurre, esattamente uguali, i grandi capolavori del passato, "tecnici" stupendi incapaci di esprimere una loro idea, di esplicitare atmosfere scaturite da sentimenti intimamente avvertiti e sofferti.

Ecco perché definiamo la tecnica di Marisa Battaglia "fuori dagli schemi classici", nei suoi dipinti è bandita la "volgarità" coloristica, le forme rispecchiano la realtà, ma in quei dipinti non si riscontra la minima attinenza con soggetti tratti pedissequamente dai modelli dei Maestri del passato.

Abbiamo goduto della visione di un paesaggio marino, il mare lievemente increspato, delle acque limpide di un lago nelle quali si specchiano alberi frondosi, lingue sabbiose che si protendono nel mare raccogliendo le ultime luci di un tramonto infuocato e tanti altri soggetti, ma in nessuno di loro risuona il canto delicato di armonie irripetibili, non rischia di cadere in cacofonie moleste.

Nei dipinti di Marisa il "sonoro" è alto, giunge ai nostri sensi "educatamente" godibile nella limpidezza di una originalità tutta personale, da apprezzare proprio per quel qualcosa che la pone, come abbiamo già scritto esordendo, "al di fuori degli schemi classici".

Claudio Alessandri

La ricerca della bellezza

Generalmente si fanno mostre-monumento e mostre-documento. Le prime celebrano, glorificano, pontificano. Le seconde scavano, testimoniano, illustrano. Poi ci sono le mostre-sentimento che tracciano umori e tendenze che si accavallano e sfumano mischiando natura, paesaggi, rivisitazioni di grandi amori, tendenze-passioni, in un turbinio di tratti talora incomprensibili ai non addetti ai lavori. Un ipotetico catalogo generale di tutto questo provocherebbe un cortocircuito. Ecco perché non esiste e non esisterà mai.

Accontentiamoci, allora, di un catalogo sulla ricerca della bellezza che è sempre una sfida: la bellezza della pittura. Della natura e la ricerca dell'anima di ciò che vediamo. Che ci capita di avere sotto gli occhi tutti i giorni. La grande bellezza, di cui si parla tanto al punto di farci un film, non è mai stata definita giacché è la dimensione dell'essere o, se volete, del parere. La grande bellezza secondo alcuni è nel pensiero che diventa parola, oppure nel sentimento che produce immagini di ciò che i nostri occhi vedono. Sarà un paesaggio, l'ansa di un corso d'acqua, un vecchio ponte, un temporale, un castello, una strada di notte, una mareggiata o un tramonto. Ma pure un corpo di Cristo deposto, flagellato, messo in croce, una testa mozzata. su un piatto, una fucilazione e altre atrocità. Ed ecco che la bellezza si trasferisce nella contemplazione pietosa. Attraversando il ricordo per riproporlo.

Queste sono le riflessioni che mi vengono in mente leggendo la pittura di Marisa Battagha. Perché, ricordatevi, che un quadro si legge. La pittura di questa artista non è l'astratto di un'idealizzazione, ma l'essenza concreta di ciò che ha visto, concretamente reale. Non sottrae assolutamente nulla a ciò che sta-stava davanti ai suoi occhi: il vecchio traliccio in ferro tra cielo e mare, la carcassa di una automobile abbandonata sul greto di un corso d'acqua, le brutture edilizie...

Sta a voi che osservate togliere quello che deturpa la bellezza del posto. E così si crea un rapporto tacito, una complicità, tra chi ha visto a suo tempo e chi vede oggi la riproduzione di quel posto tanto intrigante, tanto bello da emozionare. La bellezza si trasferisce in chi osserva ed entra nell'anima delle cose, e la sa cogliere per diventare pensiero. Qualche volta poesia.

Ricordate gli sfondi che si intravedono nelle pitture dei grandi artisti di una volta? ... finestre, archi, terrazzi da cui si godono paesaggi di fondo che, però, sono stati mediati dall'artista, trasformati perché siano belli. E magari non come gli apparvero nella realtà.

Così la grande bellezza diventa ciò che siamo capaci di attribuire a quello che vediamo, che in qualunque misura percepiamo. Per diventare possesso individuale, regalo che ci offre l'artista. Esattamente come una poesia che abbiamo letto e fatta nostra al tempo della scuola o una canzone legata a un momento della nostra vita. Senza tempo. O fuori dal tempo.

Gaetano Basile

Solidamente ancorata alla tradizione artistica insulare, la pittura paesaggistica di Marisa Battaglia costituisce l'estrema propaggine di quel verismo ottocentesco, che da Lojacono in poi ha segnato nel profondo l'arte siciliana.

La ormai classica inquadratura di monte Pellegrino dal versante di Romagnolo (Panormus), l'accurata e minuta descrizione d'ogni minima nodosità degli alberi d'ulivo (Nei secoli, Piccolo ulivo), l'ampia e solinga spazialità dei litorali e delle connesse azzurrità di cieli e mari (Musicalissimi silenzi), il gusto - ancora romantico - per il vedutismo con rovine (Selinunte), altro non sono, infatti, che palesi testimonianze di quell'ossequio filologico al paesaggio e alla veduta dell'Ottocento, sul quale la pittrice palermitana ha fedelmente strutturato l'intero impianto (progettuale e gestuale) del suo nitidissimo fare artistico.

Un rapporto - questo intessuto coi "prediletti" maestri del passato – che prescinde totalmente da qualsivoglia "presa di posizione programmatica" (all'interno dei tanti dibattiti, ed anche chiacchiericci, che animano l'articolata e talora convulsa temperie attuale), ma che piuttosto è espressione d'un iter di ricerca autonomo e appartato, in cui le scelte "fondanti" sono dettate unicamente da inclinazioni estetiche maturate in una sfera del tutto personale.

In tal senso, la pittura di Marisa costituisce una sorta di "caso a sé stante", poiché il "ritorno al museo (ed al mestiere)" che la contraddistingue si sottrae completamente a quella "volontà di anacronismo" serpeggiante da alcuni decenni nel panorama artistico della contemporaneità; e ciò in virtù della mancanza d'una esibita (e deliberata) volontà di rottura con i concettualismi e con gli avanguardismi (più o meno obbligati ed esasperati) che hanno agitato le inquiete acque dell'intero secolo trascorso. II gesto della Battaglia, infatti - benché "anacronisticamente" connotato da una tipica ricercatezza di stampo mimetico e fotografico - anziché mirare a segnare una svolta nel senso della discontinuità con ogni sperimentalismo circostante, si pone invece in una più rilassata ottica di "fluida" continuità con le mai del tutto estinte esperienze ottocentesche, guardando alle quali finisce così col ritagliarsi – in maniera del tutto involontaria uno spazio alquanto singolare nella ormai dilagante post-modernità. Dunque, nessuna dialettica al calor bianco, nessun serrato confronto con quei referenti eletti a punti cardinali del proprio agire pittorico (come viceversa accade in larga parte della più avanzata ricerca paesaggistica contingente), ma un dichiarato alunnato alla luce di quella vis didattica di cui si riconosce ancora l'inalterato potenziale. Il recupero della figurazione minuziosa e definita non è, per tanto, l'ennesimo "rappel à l'ordre" che da almeno un ottantennio intercorre nello sviluppo delle vicende artistiche, ma semplicemente un attestato di amore per un importante capitolo dell'arte del passato (però vissuto come presente) e soprattutto una scelta stilistica funzionale alla migliore espressione della propria soggettività.

Ecco allora il verismo didascalico dei Lojacono, Pardo e Mirabella (artisti autoctoni il cui influsso pare essere più intenso e significativo) o anche il silvano “en plein air barbizonnier” (predominante nei tanti paesaggi boschivi) farsi strumento elettivo e prioritario d'un afflato ambientalistico dai connotati nitidi e leggibili, poeticamente tradotti con una lirica scansione di immediato approccio e di estrema comprensibilità.

E tuttavia, dietro questa apparenza di olimpica e pacificata bellezza naturale, non si può non cogliere una qualche inquietudine di fondo. Quello rappresentato da Marisa è un ambiente intonso e incontaminato (non a caso deprivato di qualsiasi presenza umana) e come tale assai meno veritiero di quanto in superficie si possa percepire. L'assenza delle offese inferte dall'uomo alla natura (tristemente ricorrenti alle nostre latitudini) ascrive, infatti, la figurazione paesaggistica della Battaglia più alla sfera del vagheggiamento sentimentale, che a quella riguardante la cruda e realistica descrizione dei soggetti beneamati. Sicché, i litorali che ella raffigura con partecipata narrazione, o anche la vista del golfo di Palermo, nella loro linda purezza primigenia, sembrerebbero - addirittura maggiormente scaturire dal racconto formulato da un antico punico, che da quello d'un più prossimo viaggiatore del Grand Tour, o ancor meno da quello di un palermitano dell'Ottocento e per nulla da quello di un contemporaneo.

Sarà forse per questo, che nella produzione più recente della Nostra va insinuandosi vieppiù il "tarlo" dello scandaglio cronachistico, il quale non rimuove né sottrae le più dure verità. Immagini di distruzioni dovute allo scatenarsi della furia degli elementi (Kathrina) o alla ancestrale e incoercibile violenza umana ("la bestialissima follia della guerra" duramente stigmatizzata dal sommo Leonardo e ben visibile in Iraq 2004) riconducono la pittura della Battaglia nel più tempestoso flusso degli avvenimenti attuali (con tutto l'annesso corteo di pesanti e tristi riflessioni), sottraendola di fatto alla dimensione sentimentale della mera proiezione dei propri "desiderata" soggettivi.

Uno scarto improvviso (ma certamente meditato a dovere) - questo testè offerto dalla pittrice palermitana -, destinato, se adeguatamente coltivato, ad aprire nuovi e inaspettati orizzonti di ricerca.

Traslare il verismo dal piano del puro esercizio virtuosistico a quello dell'impegno civile ed anche sociale, potrebbe in effetti comportare un ulteriore salto di qualità, consegnandoci alla fine una artista rinnovata. Una Marisa Battaglia ormai in grado di affrontare lo "stato delle cose" senza mimesi di sorta, ma con diretta e oltremodo coraggiosa verità.

Salvo Ferlito

Il pulsante cuore di Gaia

Acqua, elemento naturale fondamento di vita è insieme simbolo, è insieme di vita e metafore, evoca bellezza e trasformazione, paure e passioni.
I primi filosofi greci due millenni e mezzo fa, ritenevano Principio l'acqua su cui galleggiava, a loro dire, il mondo; Eraclito usava pensare il fiume come il più efficace ad illustrare il suo convincimento sul tema del divenire, su ciò che scorre come l'esistenza e sul tempo che è mutevole come l'acqua in cui ci si bagna e anzi è la stessa.
Potremmo parlare del significato sacrale dell'acqua dei fiumi, dal Gange al Tevere, rimandando al Mito che non è certo una storiella dell'infanzia umana, come ha insegnato Eliade. Ancora d'acqua è ripieno il fonte battesimale che inizia a nuova vita spirituale e d'acqua è colma la poesia e la letteratura d'ogni tempo a cominciare dal viaggio ulissiaco nei mari.
L'acqua ammalia e inganna gli uomini, non si vive senz'acqua e si può morire affogati di troppa acqua intorno. La storia del mondo è nell'acqua, per l'acqua, malgrado l'acqua.
Gli stessi luoghi sono attraversati nel proprio cuore da corsi d'acqua, rigagnoli o con letti ampi e maestosi, a volte sotterrati dall'uomo o cementificati dalla modernità senza pudore per la propria autodistruzione.
Marisa Battaglia sceglie con lirica determinazione e consapevolezza di compiere il suo viaggio pittorico e intellettuale attraverso l' Oreto, fuori da canoni abusati e slogans ad effetto esibiti. Il suo viaggio a rebours è gnostico, è conoscenza di sé e di una parte di mondo. Con l'ausilio della storia municipale della città-capitale (decaduta, ormai) della Sicilia, la Battaglia va oltre le miserande condizioni in cui abbiamo ridotto l' Oreto specie nel suo transito cittadino fino alla foce del mare di S. Erasmo e Romagnolo.
Responsabilità infinite che hanno cancellato le immagini che le antiche incisioni ci rammentano di un fiume che anche attraversando la città era navigabile, ridente e pescoso, a cui si dedicavano carmi e si in titolavano Accademie e sui cui ponti si combatterono epiche battaglie.
E difficile, ci rendiamo ben conto, soltanto immaginarlo un fiume così a Palermo, tanto che l' Oreto è il costante pensiero e l'azione concreta miranti alla possibile rinascita auspicata da associazioni, gruppi e singoli operatori (da Salvare Palermo a Italia Nostra, alla generosa visionarietà di Antonio Presti), fra l'entusiasmo di intere comunità scolastiche, il disinteresse permanente delle istituzioni e una diffusa, incivile ineducazione dei singoli, che pare inestirpabile.
Tutto vero questo quadro di considerazioni e sottolineature, dalle quali pure muove la Battaglia per la sua ideale navigazione oretea.
Ma ecco che, accanto alla constatazione amara che certo non sfugge all'artista palermitana, si scoprono con le opere in mostra altri e più pregnanti paesaggi che, dalle alte fonti ci riconciliano al fiume nella sua interezza, alla sua stona, al suo divenire e mistero.
L' Oreto ancora, cosi, respira e pare una favola. Ma non è un sogno soltanto ed io stesso ne ho avuto prove documentali, con modeste escursioni sul campo.
E se la documentazione degli attraversamenti dell' Oreto non è infedele omaggio onirico, altrettanto è da dirsi della cifra stilistica ed interpretativa che Marisa Battaglia ci consegna con questo viaggio a tappe.

La straordinaria perizia, anche tecnica, dell'appartata e contemplativa artista di sicuro talento che è la Battaglia, sicuramente non ci regalano una veduta cartolinesca del fiume. V'è infatti un'aura, una metafisica dei luoghi rivisitati a lume d'anima, liricamente, quasi a voler ricomporre una bellezza che pensavamo perduta per sempre.
Si, ancora, l'Arte e chi la vive pienamente come la Battaglia, si misura con ciò che permane rispetto a ciò che è effimero e solo (apparentemente, spesso) concettuale, trova nella saga ed anche sul "rischio" e sfida dei grandi formati (da cui la pittrice riesce ampiamente vincitrice), la sua ragion d'essere e il suo fondante assunto.
Entrare in relazione con le opere della Battaglia è una vera e propria suggestiva esperienza estetica.
L'amore per la ricerca della perfezione non fa annebbiare l'anelito alla completezza e compostezza dell'opera.
Una sapienza antica e uno spirito che sa sfidare il suo tempo, guida Marisa Battaglia verso le origini del fiume, le sue acque che si insinuano ora portentosamente, ora fra sponde ristrette con una vegetazione, essenza e forma da ammirare e sentire come pulsante cuore di Gaia.
L'impeto creativo - ed è ciò che più ci interessa e ci affascina di queste opere che non si dimenticano - ha una sua ragione quasi musicale. Vibrano infatti i cieli e gli alberi, le pietrose e levigate asperità e ponticelli romantici, in vividi colori che attestano una padronanza matura dell'artista peri timbri espressivi forti, robusti.
Ideale e reale cosi si mischiano, anche fra detriti e carcasse pure non assenti (giustamente).
E, tuttavia, un clima di pura esteticità prende chi riesce ad entrare nella spiritualizzata materia. La lezione dei nostri vedutisti ottocenteschi e della prima metà del Novecento non è lontana dal pathos che circonda le opere della Battaglia, che, comunque, hanno una loro intrinseca inconfondibilità cromatica e dove la luce non è elemento accessorio ma piena adesione ad una chiarità che, prima di tutto, è interiorizzazione costante e anelito vivo.
Ripercorrere con animo sgombro e disposto alla riconciliazione con il fiume e col mare (che i palermitani sembrano amare solo due mesi l'anno), queste prove maiuscole di revisione e di fedeltà alla pittura è compiere, nel nome di una perennità, un trasbordo dall'ovvio e dalla volgarità che, come diceva Elemire Zolla, è dolore.
La passione e il rigore, l'amore e l'ambizione verso orizzonti alti, nobili e non transeunti è cosi l'esito espressivo di un racconto ideale e insieme veritativo e pedagogico, che Marisa Battaglia ci consegna allo sguardo, all'intelligenza e al cuore.

Tommaso Romano

Il ricordo del paradiso

Aimez-vous Brahms? E, parafrasando Françoise Sagan, aimez-vous Courbet, Corot, Théodore Rousseau ...?
E' ben verosimile che, in un periodo d'indubitabile informazione sui fatti dell'arte da parte della pubblica opinione, rispondere affermativamente alla domanda significherebbe, oggi, manifesta acquisizione di valori storici, ma, ahimè, con paura d'esser presi per reazionari o, nella migliore delle ipotesi, per passatisti, da guardare con affettata sufficienza.
Né, d'altro canto, quei Maestri del "Paesaggismo" ebbero miglior fortuna al tempo loro.
Pressoché ignorati dal pubblico, erano adorati solo dagli artisti "moderni". Di Courbet, Cézanne diceva che "il suo gran contributo è il lirico apparire della natura, dell'odor delle foglie bagnate, delle pareti muscose, della foresta...” C'è tutto il condensato di un genere pittorico - il Paesaggismo, appunto - difficile, complesso, che pone problemi tecnici non indifferenti: dalla prospettiva al cesello del fogliame e degli alberi, delle rocce; dal taglio scenografico ai corrispondenti effetti cromatici, legati alla resa realistica, ideale o fantastica. Un genere pittorico che, proprio per queste caratteristiche e per la sua "spazialità" ha avuto strette interconnessioni con elaborati concettuali estetico-psicologici, vuoi di carattere filosofico che sociologico. Il suo maggiore splendore nei secoli XVIII e XIX. Poi, l’ avvento delle avanguardie e l’ abbandono della “tridimensionalità”, di cui il Paesaggismo è espressione massima.

Cento e più anni fa.
Superati d'un sol balzo da Marisa Battaglia, giovane artista palermitana autodidatta, che del Paesaggismo "classico" fa materia prima del suo operare e che si presenta anche in sede internazionale con l'orgoglio della propria bandiera "controvento" e con il coraggio di chi è forte delle proprie convinzioni, ma soprattutto della propria capacità e dei propri mezzi.
Occorre dire subito che l'approccio all'opera di Marisa Battaglia apre prospettive mentali ed emozionali davvero sorprendenti. I suoi paesaggi sono anzitutto a-geografici, e salvo qualche contenuto ma esplicito riferimento a temi, luoghi, cromatismi di scuola siciliana ("Isolotto", "Capo Rama", "Tonnara Bordonaro", "Omaggio a Mirabella" ...), sono tutti riconducibili a quel grande momento anglo-francese che ne conclamò lo splendore nei già citati secoli. Perché? Perché così, cioè? Non c'è un preciso perché, come non sembra vi sia una qualche tensione o adesione verso un post-modernismo di recente classificazione neoromantica.
La caratteristica sorprendentemente "originale" di Marisa Battaglia consiste proprio nel fatto che la sua pittura può immetterci nella più vasta gamma di accostamenti e referenzialità senza che ne venga minimamente scalfita l'autonomia creativa.

Siamo così di fronte ad una pittura romantica intesa "veramente" come "sentimento della natura", come stato d'animo che guida alla realizzazione di una "visione" che dia gioia, godimento, ma soprattutto un senso di profonda pace.
Al confronto con l'assunto della Nuova Figurazione, la pittura di Marisa Battaglia non è la conseguenza della "nostalgia dell'immagine", ma, caso mai, si fa immagine della nostalgia: di un mondo incontaminato, di luoghi non devastati né da guerre, né tanto meno dalla distruzione ambientale ad opera dell'uomo.
E non è poi da escludere che la motivazione di fondo della scelta stilistica di Marisa Battaglia sia quella di ricostruire un mondo "idillico" (altro "aggancio" d'obbligo ...), affidandosi al "reale" fantastico per fuggire - almeno mentalmente ed artisticamente - da una "realtà" urbana, sociale ed ambientale che incute sentimenti di angoscia quando non anche di terrore. Ed ecco che la valenza dell'opera della Battaglia ti riporta al "sublime" matematico kantiano, proprio in contrapposto a quello burkiano o turneriano dell'"inquieta vita della natura".
Sarebbe più da pensare ai pittori di Barbizon ed a Théodore Rousseau, ed alla natura che essi sentivano minacciata dagli incombenti nuovi modi di vita della società borghese del tempo.
C'è sì, dunque, afflato romantico in Marisa Battaglia, ma c'è soprattutto tanta attenzione al dosaggio equilibrato tra misura e gusto. Così come c'è in lei la cultura della cura e dell'approfondimento tecnico sì da farne una pittrice "colta", capace di recuperare la storia. E, ancora una volta, non in senso post-moderno, cioè "antistorico".
La sua scelta di campo è netta: una pittura non imitativa ma autenticamente sincera, "vera", non artefatta comunque. I grandi spazi, quel colore-luce che viene dagli sfondi e indica sentieri di misteriose, ma luminose mete ..., quelle placide acque in cui gli alberi tornano luminosamente a specchiarsi; quei cieli sereni all'orizzonte d'un rassicurante infinito ...
Una pittura densa e ricca di toni ed ombreggiature che danno suggestivo risalto a "classiche" rupi prominenti o a foreste che risuonano di profondi, musicalissimi silenzi … "La quiete", appunto, come quella del dipinto da cui promana un grande senso di pace che ti dà già il primo piano delle barche, come lo spazio del profondissimo orizzonte: il grande senso della "profondità", che caratterizza i dipinti della Battaglia.
E poi, solari trasparenze e "naturali", arboree geometrie ("Boschetto", "Riflessi sul lago", ...) e momenti di fresco, luminoso impressionismo nel tripudio del prato fiorito di "Campagna".

"Realista": una definizione per Marisa Battaglia? Diceva, a sua volta, Courbet: “Il titolo di realista mi è stato imposto. I titoli non hanno mai dato una idea giusta delle cose. Se così non fosse, le opere sarebbero superflue". Marisa Battaglia può ben far propria quella serafica opinione. La sua "natura" è un'aspirazione? Allora è esteticamente e psicologicamente promettente potervisi immergere. E se fosse solo “memoria”?
Il risultato non muterebbe la verità della sua immaginifica visione.
Parola di Milan Kundera: “Un’ immagine rimasta in noi, come ricordo del Paradiso”.

Pino Schifano

Fino al mare
(dedicata al fiume Oreto-Palermo)

Là.. dove nasce l'acqua
corre lungo gli argini la civiltà,
la vita, la guerra...
Fino al mare....
Dove si mescolano i profumi di una terra antica.
Io ti ho visto...
Ti ho visto con le tue radici rosse bramose di essere dissetate dalle tue acque,
abbracciate ai sassi, alle terre di questa terra...
con le tue liane Clematis Vitalba
ed i suoi fiori evanescenti.
Ti ho visto correre impetuoso lungo le sponde,
profanate dai rifiuti dell'uomo,
cambiare i tuoi colori lungo il tuo percorso.
Un tempo erano i mulini i tuoi colori,
i dentici e le anguille i tuoi abitanti.
Io ti ho conosciuto così...
grigio, maleolente..
costretto in un letto di cemento.
Ma da qualche parte dovevi essere ancora puro...
Ho risalito le montagne per cercarti...
e t'ho trovato...Puro come ti ho immaginato.
Puro scorri e affronti il tuo cammino tortuoso, per poi riprenderti il tuo lungo abbraccio con il mare.

Marisa Battaglia